Le priorità europee: 1. Politica Estera e Difesa

Dopo due anni di guerra russo-ucraina, l’Occidente è stanco, i cittadini sentono il vago odore degli “stivali sul terreno” e rispolverano il pacifismo degli anni Sessanta e Settanta per dire che ne hanno abbastanza, e che si deve far prevalere “la diplomazia”. In quegli anni, però, c’era un mondo diviso in due, con i due Paesi-guida (USA e URSS) a controllare tutti gli altri Stati, subordinati all’uno o all’altro. Come in una famiglia in cui il figlio è attaccato da bulli, e il padre può intervenire anche solo facendosi vedere (e i bulli si ritirano impauriti). Prima del 1989 era facile essere pacifisti, perché una guerra non poteva durare più di sei giorni, poi interveniva il papà e i bulli si ritiravano. Cioè interveniva l’ONU, dietro alla quale manovravano gli USA e l’URSS. Così veniva garantito l’ordine mondiale, e apparentemente veniva fatto prevalere il diritto internazionale.

Ora invece, che sia iniziata nel 2014 con l’annessione proditoria della Crimea o il 24 febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, con mezzi convenzionali, facendosi beffe del diritto internazionale e degli stessi accordi di Minsk da lei sottoscritti, la prima guerra europea dal 1945 costituisce uno scenario prima impensabile, con cui i governi dell’Unione devono confrontarsi. Dopo aver ridimensionato gli eserciti di terra, quasi eliminato i carri armati – inutili finché si trattava di fare qualche missione simbolica di peacekeeping in Paesi lontani – e abolito dappertutto la leva obbligatoria, cosa fare per mantenere la pace per cui è nata la UE? Pensare alla difesa, quindi a riarmarsi in tutta fretta, o muovere la propria diplomazia per imporre la pace ai due contendenti?   

L’incubo peggiora se si pensa che in due anni si è combattuta in Ucraina una guerra ibrida, qualcosa che sta tra la prima e la seconda guerra mondiale. Con le trincee e i carri armati. Ma anche con i droni e i missili, segno dei tempi. E sempre, ancora, con gli uomini sul campo, i mortai e i cannoni. Roba dell’altro secolo.

Per queste considerazioni, sta crescendo in molti Stati membri l’idea di costruire una difesa comune europea, teoricamente collegata alla NATO, ma sotto comando UE. Cioè mettere a fattor comune le risorse finanziarie che ogni Stato spende per la propria difesa, ottimizzando la spesa e finalmente costruendo una forza coerente, dotata degli stessi mezzi e alimentata da un sistema industriale coordinato, in cui siano superate duplicazioni ed egoismi nazionali.  

Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, in un lungo articolo uscito su alcuni giornali europei il 19 marzo, ha rispolverato un vecchio proverbio latino: Si vis pacem para bellum (cioè: se vuoi la pace, prepara la guerra), invitando i governi a prepararsi a una “economia di guerra”. In altre parole, dice di fatto Michel, e ha sostenuto dopo di lui l’Alto Rappresentante UE Josep Borrell, se vogliamo evitare la guerra dobbiamo creare deterrenza.

A dimostrazione della convinzione di alcuni Stati membri di voler procedere “a cerchi concentrici” secondo un futuribile modello di Unione, il 15 marzo si è riunito in Germania il “Triangolo di Weimar”, cioè i capi di governo di Francia, Germania e Polonia, rispolverando un vecchio formato che non si riuniva dal 2016. Il suo obiettivo: parlare di Difesa comune europea, riaffermare la volontà di stare a fianco di Kiev, investire sulle infrastrutture, come ad esempio una linea ferroviaria protetta che colleghi i tre Paesi per lo spostamento di truppe e carri armati senza difficoltà.

Sintomatico del pessimo clima attuale, un successivo articolo (del 3 aprile) sulla rivista Politico, firmato dai ministri degli Esteri del Triangolo, in cui si è ribadita la necessità di impostare il futuro della UE sulla Difesa comune, creare un fondo comune di 200 mld euro e soprattutto prepararsi alla guerra con Putin, ritenuta inevitabile. Dopo aver ribadito il motto della NATO “Uno per tutti, tutti per uno”, dicono espressamente che “perché l’Europa sia in pace, l’imperialismo russo deve essere fermato.”

Cosa sta succedendo? Una guerra “più europea” davvero si profila all’orizzonte?

Per quarant’anni, dalla fine della seconda guerra mondiale al 1989, il mondo bipolare è stato in pace sull’equilibrio “del terrore”, come veniva definito, cioè sull’equivalenza delle armi nucleari tra USA e URSS. Dopo il 1989, nell’illusione di aver globalizzato la pace, l’equilibrio si è rotto. Si parla di “multipolarità”, cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma sta di fatto che nessun Paese risponde più a nessun altro. Non c’è più un papà che si fa vedere e fa sparire i bulli. E’ il tempo in cui i bulli dilagano.

Dall’altro lato, cosa fa la diplomazia? Perché “latita”, come alcuni accusano? Perché non si ipotizza una missione di peacekeeping come per altri casi? La risposta ufficiale è perché manca una deliberazione dell’ONU, in stallo per i veti incrociati di USA, Russia e Cina. La risposta reale è perché, per motivi diversi, questi tre Paesi non vogliono fermare la guerra. I loro interessi imperiali non lo richiedono.

Ma perché non lo fa l’Europa? Perché non ne ha i mezzi, né la volontà politica. Non ha una politica estera comune. Non ha una Difesa comune. In sostanza, non è credibile come Unione Europea. Men che meno potrebbero esserlo la Francia o la Germania da sole, e nonostante che la Francia (da sola) abbia l’arma nucleare. Intanto le elezioni USA si avvicinano, con la prospettiva di un Trump che potrebbe abbandonare la NATO, e l’Europa a sé stessa.  

Il Consiglio UE del 21-22 marzo ha puntato per ora sull’espansione dell’industria europea della difesa, il progetto EDIP (European Defence Industrie Program), che nelle ambizioni dovrebbe arrivare fino a 380 miliardi di euro. Soldi, sempre soldi, solo soldi. Ma questo progetto è sufficiente? Forse. Peccato che non sia stato neanche approvato. Troppi contrasti. Come i polli di Renzo, gli Stati si dividono sul debito comune che servirebbe per investire sulla difesa. Se ne riparlerà a giugno, dopo le elezioni, con un nuovo Parlamento e una nuova Commissione.

Per ora si può concludere che l’Unione è a una prova mai vista prima.

O troverà il modo di rafforzare la propria unione politica e militare (con chi ci sta, vedi Triangolo di Weimar), anche a costo di perdere qualche pezzo per strada, o i singoli Stati membri si scopriranno soli di fronte ai grandi della Terra, incapaci di reagire alle loro pretese.

In termini elettorali, se si ripeterà la maggioranza attuale in Europa (Popolari, Socialisti, Liberali), si andrà verso la lentissima formazione di un’Europa più unita, con una maggiore integrazione dei sistemi industriali di difesa, e la speranza che la NATO resti a proteggerci e che non ci sia una guerra con la Russia nei prossimi cinque-dieci anni.

Se ci sarà una maggioranza di destra, che escluda i socialisti e imbarchi i conservatori, la maggiore integrazione sarà impossibile, e l’Unione si avvierà a un lento declino, perché Difesa e Politica Estera saranno più che mai esclusiva dei singoli Stati membri. Cioè, delle Nazioni, se preferite il termine, che si confronteranno una per una, ciascuna da sola, contro gli Imperi mondiali (USA, Russia, Cina).

E allora, come potrà la UE raggiungere l’autorevolezza per fermare le guerre senza averne le armi? Magari basterà una marcia della pace di un milione di persone disarmate che vadano in Ucraina a interporsi tra le forze in gioco, o domani a rispondere così all’invasione del singolo Paese da parte di truppe russe o di un altro Stato canaglia?

Certo, un esercito disarmato, almeno non costa nulla.

di Raffaele Raja

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